Hai mai mangiato lo zebù?

Hai mai mangiato lo zebù?

…scommetti che la tua riposta è “sì”?

Vediamo.

Innanzitutto ciao da Luca,
oggi voglio cercare di fare un po’ di chiarezza in merito al concetto, semplice, che si cela dietro le sigle DOP e IGP.

Ultimamente ne ho sentite tante, e come capita spesso si riescono a complicare ragionamenti semplici, rivoltandoli tra le pieghe della retorica. E allora ho fatto una piccola ricerca, usando solo fonti attendibili, per dare un po’ di chiarezza in più.

Partiamo dalle due sigle, ovvero da ciò che esse rappresentano per il consumatore.

Io credo che allo stato attuale la percezione sia questa: ogni volta che ci raccontano una qualsiasi storia dove compare una di queste due sigle, non facciamo troppa differenza. Ci sentiamo automaticamente tutelati e rassicurati, immaginiamo cieli azzurri, contadini col cappello di paglia, profumi naturali in ambienti rurali.

Ma nella realtà queste due sigle sono ben diverse non solo da un punto di vista letterale, ma anche e soprattutto di contenuti.

DOP: Denominazione di origine protetta

[…] il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.

In parole ben più semplici, la DOP implica che sia la provenienza della materia prima, sia la lavorazione, appartengano ad uno specifico luogo che la DOP vuole appunto proteggere.

  • Parmigiano Reggiano
  • Prosciutto Crudo di Parma
  • Pecorino Romano
  • Prosciutto di San Daniele

sono esempi di eccellenze italiane per le quali i produttori, unitisi in consorzio, sono riusciti ad ottenere il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta.

Per cui – a meno che non abbiamo a che fare con una frode – ogni volta che consumiamo un prodotto DOP possiamo con buona pace ritenere che la materia prima di cui è fatto sia propria del luogo, così come la lavorazione.

Prosciutto di Parma? Maiali emiliani, cresciuti in Emilia, lavorati in Emilia (anche se sono ammesse anche altre regioni italiane). Parmigiano Reggiano? Latte emiliano di mucche emiliane lavorato in Emilia (e parte della provincia di Mantova).

Una piccola divagazione, una curiosità che forse non tutti conoscono: per il Pecorino Romano DOP, che noi usiamo per il ripieno del fiore di zucca, il territorio d’origine non è solo il Lazio, ma anche e soprattutto la Sardegna. Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi è fatto in Sardegna – sono solo 3 i produttori laziali consorziati. La parola “Romano” sta piuttosto ad indicare “dell’antica Roma”, essendo infatti un prodotto dalle origini antichissime. Tanto di uso comune, se ne dava addirittura una razione giornaliera ai legionari.

In definitiva, quando mangi una DOP, quello che immagini corrisponde più o meno alla realtà: materie prime selezionate, tecniche di lavorazione attente. Un prodotto recante il logo DOP è un prodotto sul quale è stato fatto un lavoro di tutela tale da salvaguardarne peculiarità, gusto, provenienza.

E la IGP?

E’ qui che casca l’asino, o, per tornare al titolo, lo zebù.

IGP: Indicazione Geografica Protetta

[…] il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: —come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e —del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e —la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.

Ancora una volta, semplifichiamo: a differenza della DOP, che impone la provenienza della materia prima dal luogo a cui la DOP fa riferimento, per la IGP l’unico vincolo è la lavorazione nella zona considerata. O, ancora meglio, il vincolo è che almeno una delle fasi della lavorazione avvenga nel suddetto territorio – quindi anche solo parte della lavorazione. Le regole addizionali, come quindi la provenienza della materia prima, sono a totale discrezione del consorzio.

Questo fa una differenza enorme.

Perché questo significa che puoi mangiare un Prosciutto di Norcia fatto con maiali est-europei.

Puoi gustare un panino con lo speck dell’Alto Adige IGP fatto con suini provenienti principalmente dagli allevamenti intensivi tedeschi.

Puoi farti un bel piatto di pasta di Gragnano IGP fatto con semole ucraine (attenzione: da Meatin usiamo una delle uniche due marche aderenti al consorzio che utilizzano esclusivamente semole pugliesi e lucane).

E quando, con fare sicuro e atteggiamento trionfale di quello che, sì, sta finalmente mangiando sano, ti spari 200 g di Bresaola della Valtellina IGP, magari dopo la palestra, è altamente probabile che ciò che metti sotto i denti non sia la carne della mucca (anzi del manzo) dei tuoi sogni, quella a macchie bianche e nere che pascola tra le valli alpine, bensì carne congelata di zebù extracomunitari, per lo più brasiliani.

Prima di far suonare il campanello d’allarme, chiariamo: che cos’è lo zebù?

Riporto dalla Treccani: “Nome comune delle varie razze domestiche di bovini diffuse in Africa e Asia merid., […]: presentano una caratteristica gobba adiposa sulla spalla e corna voluminose; sono ottimi camminatori, usati come bestie da soma, da sella e da tiro, ma il loro rendimento, anche per la carne e il latte, non raggiunge quello delle razze selezionate dei bovini dei paesi occidentali; vengono spesso utilizzati per incroci con questi ultimi allo scopo di combinarne le caratteristiche.”

Quindi tranquillo, possiamo definire in due parole lo zebù come una sottospecie di bovino, perfettamente commestibile.

Sorpreso?

Incredulo?

A scanso di equivoci, ti riporto quanto scritto nel sito ufficiale del consorzio:

“In Valtellina noi scegliamo il meglio: solo carni di qualità, sicure e controllate. Ciò che fa la differenza è la qualità della materia prima, non tanto la provenienza o il fatto di essere prodotta con carni allevate nella valle”

E ancora:

“…i produttori aderenti al Consorzio utilizzano principalmente carne proveniente da allevamenti Europei e Sud-Americani”

Tutto normale quindi, nessuna frode e nessuna truffa.

Solo che uno sogna la mucca sui prati verdi delle prealpi e si ritrova in bocca un bovino con la gobba nato e allevato a 10000 km di distanza.

Per cui, come ho scritto all’inizio, mi sa che la risposta di tutti noi alla domanda che c’è nel titolo di questo post è “sì”.

La carne di zebù l’abbiamo mangiata tutti.

Continuiamo.

Prosciutto di Norcia?

Leggi che bel raccontino ti fanno quelli del consorzio: “L’allevamento del maiale a carattere non intensivo era assai diffuso nell’area montana e collinare umbra sin dall’epoca romana, grazie alla presenza di boschi ed in particolare di querceti, dove gli animali trovavano naturalmente ciò di cui alimentarsi […]”

Un bel dipinto a tinte tenui rappresentante scene rurali dell’antichità, che però poco hanno a che vedere con i carri bestiame zeppi di suini balcanici provenienti da allevamenti intensivi.

Porchetta di Ariccia? Stesso discorso, così come tante altre IGP italiane: dalla Coppa di Parma allo Zampone di Modena, dalla Mortadella di Bologna al Pane Casareccio di Genzano.

IGP = lamateriaprimavienedadovemipare

Non so a te, ma a me la IGP dà l’idea di uno che vuole fare la marmellata in casa con le pesche comprate al supermercato. Ti viene pure buona, ma se la fai con le pesche della terra di tuo zio è tutta un’altra cosa.

Questo è quanto.

Ho scritto questo pezzo non certo per sostenere che le IGP siano delle truffe velate. Rappresentano comunque un parziale tentativo di mettere ordine in un mercato privo di sufficienti controlli come quello alimentare, ci mancherebbe.

Ho scritto questo pezzo con l’intento di sottolineare, ancora una volta, che il cibo è cultura, informazione, ricerca.

Bollini, etichette rassicuranti, denominazioni scritte in paraculese, confezioni accattivanti con paesaggi incontaminati, possono essere sufficienti per chi usa il cibo solo per sfamarsi, non certo per chi ha la passione di immergersi nella profondità di una ricerca adeguata.

Quando ho aperto Meatin, mi sono state proposte decine di cataloghi e brochure stampati in HD e ben plastificati, con animali sorridenti dai nomi altisonanti, che oggi vengono annoverati sotto il nome di “carni pregiate”.

Una serie di menzogne spaziali su cui ho fatto una ricerca durata mesi, che mi ha portato poi a scegliere ciò che trovi in tavola quando vieni da Meatin.

Io vado a comprare la carne, i salumi, i formaggi a 100 km di distanza, da allevatori che ho conosciuto personalmente: Marciano, Cesarina, Pasquale, Michela, Giacomo, etc.

Il bollino ce l’ho messo io: è la mia faccia.

Ti aspetto da Meatin.

Clicca qui per prenotare oppure chiama lo 08118893517.

Saluti

(c) Luca
Meatin
Via Timavo, 27 – Napoli

 

Fonti:

(corriere.it)

(coldiretti.it)

6 Comments

  • Giovanni

    Ottimo articolo !

    26 Ottobre 2016 at 11:05
  • Federica

    Nel frattempo ho prenotato un tavolo X stasera!
    Grazie, continuate così!

    26 Ottobre 2016 at 11:21
  • Francesca

    Fantastico articolo che mi ha chiarito finalmente la differenza tra DOP e igp! Purtroppo non tutti amano il
    Cibo, la stragrande maggioranza delle persone lo considerano un mezzo di sostentamento. Io no, amo la cultura che esprimete in ogni vostro piatto, il concept di Meatin’ e la passione che impiegate nel vostro lavoro! Bravo Luca, non vedo l’ora di assaggiare qualche altra portata del nuovo menù!

    26 Ottobre 2016 at 12:47
  • Gigi

    Conoscevo già la vostra cura nella ricerca delle materie prime avendone avuto modo di apprezzarla più volte.
    Trovo molto intelligente questo vostro chiarimento che apre gli occhi a tutti e spiega benissimo le differenze

    26 Ottobre 2016 at 15:14
  • Cornelia

    Io l’ho mangiato consapevolmente in Madagascar! 😉

    29 Ottobre 2016 at 12:50

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